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venerdì 27 agosto 2010

Medusa mortale



Già dalla sua uscita dall’acqua si è capito subito che qualcosa non andava dai movimenti scomposti, ha fatto appena in tempo a chiedere disperatamente aiuto e si è accasciata al suolo. Era ben visibile sulla coscia destra una vistosa bruciatura che ne arrossava la pelle provocata dai tentacoli di una medusa che l’aveva urticata mentre nuotava. E’ morta così Maria Furcas di anni 69, di San Nicolò Gerrei, che mentre faceva il bagno a Porto Tramatzu, una spiaggia del litorale di Villaputzu, è stata toccata da una medusa che le è stata fatale. E’ morta per arresto cardiocircolatorio, pare provocato da choc anafilattico a seguito del contatto coi tentacoli della medusa. Almeno così si suppone anche se non mancano i dubbi. Infatti quanti di noi hanno conosciuto la sgradevole sensazione del contatto con una medusa, e cosa è successo? Niente, a parte il bruciore e il fastidio, a meno che non si tratti di una medusa non dei nostri mari, molto più pericolosa per la nostra salute come ipotizzano alcuni biologi marini. Ma i dubbi sulle cause effettive di questa incredibile morte sono tutti legittimi e solo l’autopsia potrà dare finalmente una risposta definitiva e univoca. Nel frattempo però è panico collettivo nei nostri mari e chiunque entri in acqua si guarda attorno con circospezione visto il grande risalto che ha dato la stampa e le televisioni a questa tragedia. E se Maria Furcas fosse morta semplicemente per l’emozione provocata dallo spavento?

lunedì 16 agosto 2010

Sullo sfondo della globalizzazione il nuovo romanzo di Pietro Atzeni



E’ in libreria il nuovo romanzo di Pietro Atzeni “Le verità di fango. Enigma rosso”. Un giallo coinvolgente e mozzafiato come ha da essere questo genere di romanzi, ma il suo accostamento con questo genere letterario si esaurisce qui perché “Le verità di fango. Enigma rosso” è tanto altro e di più. Romanzo innovativo questo di Atzeni che con abilità e misura riesce a miscelare diversi generi letterari, saggio, giallo e noir, dando vita a un’opera unica che, come ha giustamente sottolineato il critico Rebecca Palagi nella sua prefazione al romanzo, non ha termini di paragone nel panorama letterario italiano. Atzeni, infatti, in questo suo ultimo lavoro ci offre uno spaccato dei nostri tempi, quasi una sorta di memoria storica, quella che in genere è affidata ai saggi, ma che riesce, pur avvalendosi di situazioni esemplari e di apparente fantasia, non bisogna dimenticare che la stessa storia scaturisce sempre dalle tavolette d’argilla, a mostrarci i nostri giorni così come mai li abbiamo visti. E’ la storia attuale, infatti, narrata attraverso i suoi crimini, siano essi quelli tradizionali, e perciò contemplati e puniti dalla legge, o quelli che discendono dalle nuove leggi che, in un qualche modo, li favoriscono, ben mimetizzati quindi, spesso nemmeno individuabili e perciò inattaccabili. Ma il rapporto tra i due modi di delinquere spesso è stretto e i protagonisti positivi utilizzano i crimini comuni per dimostrare il nesso col nuovo modello di società, di modo che il lettore possa, attraverso i loro occhi e il loro sentire, approdare alla conclusione che la nuova economia, e quindi la politica ad essa modellata, ha in sé qualcosa di corrotto e di perverso ed è fattrice, insomma, non solo dello sfacelo sociale davanti ai nostri occhi ma è anche a sua volta causa di tanti altri crimini, anche i più cruenti benché in apparenza comuni. E’ l’eterna guerra del bene contro il male quella che sfila davanti ai nostri occhi, un male però ben mimetizzato dietro verità in apparenza positive ma utilizzate come sofisticato specchietto per le allodole dietro il quale si consuma l’inganno ai danni di una umanità distratta e impreparata, e a beneficio di una elite, con lo Stato sempre più confinato in un angolo a far da spettatore. Sono queste le verità di fango che lentamente, con abile scavo e sapiente dosaggio, pagina dopo pagina, emergono dal romanzo di Pietro Atzeni, da quel sudario morale e intellettuale che avvolge col suo abbraccio mortale la società moderna liberandola da quel magma di falsi valori sotto cui corre il rischio di rimanere sepolta. Verità di fango, quindi, linfa vitale e nutrimento per il potere, ma anche trampolino per il riscatto, prendendone coscienza, dal quale potrebbe partire la spinta per creare finalmente un mondo migliore.

venerdì 13 agosto 2010

Una vergogna nascosta

Una vergogna nascosta

Nel 1990, prima che uscisse la legge Mammì esistevano in Italia circa, se la memoria non mi tradisce, 1500 emittenti locali, ma, a seguito della legge, dopo qualche anno ne sopravvivevano poco più di 500 e cioè tutte quelle controllate dal potere nelle sue varie forme. Perché vi dico tutto questo? Perché possiamo far coincidere la fine della libertà di informazione e quindi della Democrazia in Italia con le conseguenze di quella legge nefasta. Non solo, quello che spaventa, al di là della critica di maniera dei giornali, è l’indifferenza degli stessi che si sono ben guardati dal presentare la realtà nella giusta luce e il modo sopratutto con cui le emittenti locali sono state costrette a chiudere o passate di mano allo scopo di lasciare libere le frequenze che erano state già spartite e assegnate a tavolino. La legge è stata calpestata da una muta di sciacalli aziendali che hanno avuto la strada spianata dalle incombenze della legge Mammì, con la complicità delle stesse banche per portare nello stile più classico tanto caro alla mafia le emittenti alla fame e a cedere l’azienda a prezzi irrisori. Conosco troppo bene la materia anche perché io sono una di quelle vittime silenziose, che ha subito, nell’indifferenza generale, le angherie del potere che, utilizzando persone di comodo entrate nella società nel momento del bisogno, arrogantemente ha fatto il bello e il cattivo tempo come se la legge riguardasse gli altri. E così dopo anni di lavoro, dopo aver creato l’azienda, io e mia moglie, ce la siamo vista sfuggire caricata di debiti, anche grazie al rifiuto sistematico del lavoro e quindi degli incassi per giustificare la vendita a basso prezzo ai propri complici o mandanti. Ma nonostante queste pressioni ci siamo opposti alla vendita e abbiamo fatto l’unica cosa consigliabile in questi casi, e cioè siamo ricorsi in tribunale, perché sapevamo che questa vendita dell’etere era solo l’inizio e poi dell’emittente non sarebbe rimasto niente. Ma il tribunale ha un concetto di giustizia tutto suo e perciò ha negato il sequestro e legittimato la vendita della nostra sas e il crimine ha potuto perfezionarsi nella classica maniera in stile mafioso o se preferite massonico. Della vendita non abbiamo visto, manco a dirlo, una lira, abbiamo pagato le spese legali per la richiesta di sequestro e rimborsato alle banche gli importi delle fideiussioni visto che riteneva me e mia moglie i soci più affidabili. Ora siamo concessionari di niente e di una azienda che non esiste più e dei suoi debiti e qualcuno gode i privilegi di una concessione estorta col crimine. Questa in sintesi la storia di Canale 60 sas emittente libera dissoltasi nel nulla, ma ho notizia di tanti altri con esperienze analoghe, il tutto avvenuto nel silenzio generale. Me se chi ha architettato tutto questo è stato capace di tanto, a questo punto una considerazione è d’obbligo: in quali mani è finita l’informazione oggi?

martedì 10 agosto 2010

Le verità di fango. Enigma Rosso

Le verità di fango. Enigma Rosso

Canzone mancata

Canzone mancata

Non fui io ad armare la mano
ma l’umana voracità
signor giudice io volevo solo donare
la voce a chi non ce l’ha
Ma si sa, la virtù degli uomini
è equilibrista che soffre di vertigini
e fanciulla smaniosa di darsi è l’ambizione
se l’avere poi nella bilancia pesa tanto
per carriera e successo cede alla tentazione
soffoca ogni scrupolo e sacrifica il rimpianto
Non fui io ad armare la mano
ma lui, il mio avvocato.
Ceduti gli interessi miei al volere del sistema
moltiplicarono i suoi incarichi come per magia
e vivere divenne per me un problema
Le banche tutto mi portarono via
dannando per sempre la vita mia
i ponti l’ombra di un uomo allora conobbero.
E così quando lo vidi fermo al semaforo
mi precipitai ad urlare tutta la mia rabbia
a chi aveva ridotto il lavoro di una vita in sabbia
quello appena mi vide “Io non ho fatto niente”
in preda al terrore disperato latrò.
Già il problema era tutto lì
mi voltai, sotto il ponte le mie povere cose
davanti un uomo di successo e conteso
una rabbia stravolgente allora mi ha preso
C’è chi per campare la schiena si spacca,
C’è chi si arrovella la mente,
ecco, signor giudice, vede
lui a mie spese c’era riuscito facendo niente
non fui io ad armare la mano
proprio per questo è finita così.

Canzone mancata, perché scritto come testo di canzone diversi anni fa su richiesta di una amica cantante, ma che non ha mai avuto la sua musica. L’amica si è sposata, ha cambiato città e smesso di cantare lasciando questo testo orfano delle sue note. C’è qualcuno tra di voi amici di internet che mi vuole dare una mano a invertire le decisioni del destino e dare a questi versi il loro degno accompagnamento musicale?

Pietro Atzeni